Il principio di diritto sopra riportato è stato di recente ribadito dalla Corte di Cassazione, la quale ha in primo luogo chiarito che “in relazione al reato previsto dall’art. 187 cod. strada, a rilevare non è la condotta di chi guida dopo aver assunto sostante stupefacenti, bensì quella di colui che guida in stato d’alterazione psicofisica determinato da tale assunzione” e, in secondo luogo, che è necessario che “tale dato sia comprovato sia attraverso accertamenti biologici (esami ematici e delle urine) che da ulteriori circostanze quali il comportamento del conducente” (Cass. pen., Sez. IV, 17 gennaio 2025, n. 2020).
Dunque, ai fini del giudizio di responsabilità, è necessario provare non solo la precedente assunzione di sostanze stupefacenti, ma che l'agente abbia guidato in stato di alterazione causato da tale assunzione (ex multis, Cass. pen., Sez. IV, 18 luglio 2018, n. 41376).
La mera assunzione, testimoniata dall'esito degli esami sul prelievo ematico, non è rivelatrice dello stato di alterazione psicofisica al momento della guida. Al contrario, è richiesto “non soltanto l’accertamento del dato storico dell’avvenuto uso di sostanze stupefacenti, ma anche quello dell’influenza sulle condizioni psicofisiche dell’assuntore durante il tempo della guida del veicolo”.
Ai fini dell’accertamento del reato in discorso “è dunque necessario sia un accertamento tecnico-biologico, sia il ricorso di altre circostanze idonee a comprovare la situazione di alterazione psico-fisica dell'agente. Tale complessità probatoria, in particolare, deve ritenersi imposta dalla circostanza per cui le tracce dell'assunzione di sostanze stupefacenti permangono nel tempo, sicché l'esame tecnico potrebbe evidenziare un esito positivo in relazione a un soggetto che ha assunto la sostanza diversi giorni prima e che, pertanto, non si trova, al momento del fatto, in stato di alterazione” (Cass. pen., Sez. IV, 4 maggio 2012, n. 16895).
In conclusione, può affermarsi che - diversamente dall’ipotesi di guida sotto l’effetto di alcool - la mera alterazione non è punibile, se non derivante dall’uso di sostanza, né è punibile il semplice uso non accompagnato da alterazione (Cass. pen., Sez. IV, 14 maggio 2020, n. 15078): alla sintomatologia dell’alterazione deve pertanto accompagnarsi, necessariamente, l’accertamento della sua origine e viceversa, essendo richiesta – ai fini della integrazione della fattispecie penale – la compresenza di entrambi.
La punibilità, dunque, è subordinata all’effettivo accertamento di dati sintomatici rilevati al momento del fatto, ovverosia la compromissione dei rapporti tra processi psichici e fenomeni fisici, nonché lo stato evidente del presunto reo.
La sola positività al test tossicologico, quindi, non basta ad asserire la sussistenza di profili penali nel fatto contestato.